venerdì 25 febbraio 2011

La casta politica ora è distante dal paese reale

La politica ha mostrato la sua parte più debole generando una frattura che non sarà facile recuperare con la società civile. L’approvazione dello Statuto regionale ha mandato in corto circuito i rapporti con i cittadini ma soprattutto con il mondo dell’impresa che sinora era stata fiduciosa a guardare. Sotto pressione il Consiglio regionale, ma ancor di più il presidente Iorio. Al governatore viene rimproverato di non aver tenuto conto delle sollecitazioni che gli imprenditori, attraverso gli Stati generali, hanno richiesto: più moderazione nelle spese e riduzione del numero dei consiglieri regionali. L’aver dimenticato l’impegno sottoscritto ha mandato in corto circuito i già difficili rapporti. Lo hanno detto senza mezze misure e con autorevolezza i vertici dell’Associazione degli industriali con in testa il presidente Michele Scasserra. Ieri pomeriggio sotto il simbolo della Confindustria molisana erano raccolti gli imprenditori. Non erano quelli canuti a cui eravamo abituati. Tutti giovani e determinati a non sopportare più i giochini della politica e la superficialità con la quale è stata affrontata la questione statuto. Più che una sensazione quella avvertita ieri è una certezza lo scollamento tra chi ci amministra e i cittadini. La casta politica molisana si è mostrata distante dal paese reale e dai problemi della gente comune. Come si può pensare di aumentare il numero dei consiglieri e di consentire l’accesso agli assessori esterni facendo lievitare fino a 40 gli inquilini di Palazzo Moffa. Non è una scelta epocale, dicono gli imprenditori. Anzi un passo indietro rispetto al cammino che dovrebbe intraprendere la politica per essere più attenta alle esigenze della collettività. In tempo di crisi invece di ridurre i costi il Consiglio regionale prende un’altra direzione. Un atteggiamento superficiale che non mancherà di far rumore con una levata del mondo produttivo che non è più disposto a sopportare oltre. «Un pugno allo stomaco» così Scasserra ha definito il colpo ricevuto dai politici. Sarà necessaria una doverosa marcia indietro per cercare di recuperare una leggerezza che non potrà non avere delle pesanti conseguenze nei rapporti tra le istituzioni e gli amministrati. L’annuncio di far ricorso al referendum non è una minaccia, ma il segno che si è superato il livello di guardia.

giovedì 24 febbraio 2011

Statuto, ma che bravi: aumentano i costi della politica

Approvando lo Statuto regionale i consiglieri non hanno fatto una bella figura. E forse ancor di più il presidente Michele Iorio quando al microfono di Giovanni Minicozzi ha assicurato che in sede di programma elettorale porterà all’attenzione dei molisani la riduzione del numero degli inquilini di palazzo Moffa. Uno Statuto che suona come uno schiaffo a tutti. Perché mentre si parla di riduzione dei costi e dei tagli della politica, il Molise non solo non riduce il numero dei consiglieri aumentandoli ma addirittura stabilisce il principio che la giunta possa essere composta da esterni. Facendo un rapido conto si potranno avere 32 consiglieri e 8 assessori per un totale di 40 stipendiati con le tasse pagate dai cittadini molisani. Eppure si era parlato di voler ridurre i costi della politica in una stagione di profonda crisi che sta toccando tutti i settori dell’economia molisana. Non sono mancate le puntuali risposte dal mondo dell’impresa che non riesce a comprendere la decisione presa dall’assemblea regionale. Ci si aspettava una risposta diversa e più responsabile da parte della politica che non c’è stata. Come non è altrettanto condivisibile l’atteggiamento di chi in aula ha evitato di presentare emendamenti facendosi scudo della banale giustificazione che così non si sarebbe potuto approvare il nuovo Statuto in questa legislatura. Gli unici a votare contro sono stati Natalini e Pangia, con l’astensione di Niro e Chieffo. Poi alcune assenze giustificate (Pallante e Romagnuolo) e l’incomprensibile uscita prima del voto di Scarabeo, Romano e Bonomolo. Uno Statuto che ha fatto perdere una buona occasione a tutti.

martedì 22 febbraio 2011

Ospedali e Agnone, effetto domino?

Le tensioni che stanno interessando le regioni dell’Africa offrono uno spunto di riflessione anche per il nostro Molise. È stato sufficiente che un fruttivendolo tunisino si sia dato alle fiamme per far scendere in strada i cittadini per chiedere più diritti e più libertà. Ad Agnone il sindaco è arrivato al capolinea dopo non essere riuscito a comprendere il disagio dei suoi compaesani che volevano un impegno diverso in difesa del Caracciolo. Una comunità che si è ritrovata unita, al di là dell’appartenenza politica, per “proteggere” il presidio ospedaliero in un territorio interno e montano. Una circostanza che non può essere sottovalutata dalla politica, che ora è chiamata a riflettere sulla lezione agnonese. Potrebbe restare un caso isolato quello del sindaco De Vita oppure ci si dovrà aspettare un effetto domino? È difficile prevederlo anche se non può essere sottaciuto quanto sia forte il legame delle comunità verso tutto ciò che si sente proprio, che sia un ospedale o una caserma, un ufficio postale o una chiesa. Che ci si debba aspettare qualcosa di simile anche per le amministrazioni comunali di Larino e Venafro? A Iorio il compito di convincere che Agnone è stato solo un caso e non un segno del destino.

domenica 20 febbraio 2011

Ma quale fiducia nella magistratura molisana?

L’assoluzione per l’ex procuratore capo della Repubblica di Isernia, Antonio La Venuta, riporta in primo piano il tema magistratura. Anche in questa vicenda un ruolo lo ha avuto la politica e il comportamento di una parte della magistratura che vi si è contrapposta. Scontro tra poteri che, come spesso accade, lascia vittime sul campo. Viene spesso da pensare che l’aver fiducia nella magistratura è solo un’affermazione buttata per caso sul tavolo della discussione senza un reale convincimento. Del resto alcuni fatti hanno alimentato il giudizio che c’è una parte della magistratura che opera ad orologeria. Ad essere sotto la lente dei giudici la classe politica per uno scontro tra i due poteri dello Stato da cui non si riesce ad uscirne fuori. Venendo ai fatti di casa nostra la cronaca giudiziaria ci ha consegnato in prima pagina nomi eccellenti della politica. Come non pensare ai vari Iorio, Patriciello, Vitagliano, Di Giacomo, Picciano, Del Torto, solo per citare i cognomi più noti. Per alcuni di loro da tempo resta sospeso il giudizio gettando il sospetto che il mondo della politica sia un’entità corrotta. C’è sete di giustizia ma, in modo particolare, di verità. Qual è il pensiero dei cittadini sulla giustizia molisana? La “voce del popolo” soffia verso un convincimento di una collusione tra mondo politico e mondo giudiziario. Della serie lupo non sbrana lupo. Ma è davvero proprio così? Come sempre le frasi fatte non aiutano a comprendere appieno come stanno le cose. È indubbio, però, che tante inchieste non sono arrivate proprio a nulla. E il caso del procuratore La Venuta non aiuta ad allontanare i dubbi su una gestione di un potere amministrato “nel nome del popolo italiano”.
Pino Cavuoti

venerdì 18 febbraio 2011

La sinistra divisa cerca aiuto dagli autoconvocati

Il quadro politico sembra assopito. Come se si stesse aspettando un segnale di fumo da qualche stanza capitolina. Non ci sono in Molise grandi fibrillazioni, si sta vivendo una stagione di riposo prima di una grande battaglia. Calma apparente? Forse, a destra quanto a sinistra. L’unico sussulto è da coloro che in provincia di Campobasso si definiscono autoconvocati. Ieri mattina si sono presentati per illustrare le ragioni di un passo del genere. Tra i promotori nomi importanti e ingombranti del centrosinistra molisano. Un elenco destinato a crescere per dare una scossa a una parte politica che ha perso mordente e spinta propulsiva. Tra i sostenitori si scopre la presenza di personaggi che hanno fatto la storia del centrosinistra di questi ultimi anni, come il senatore Giuseppe Astore e l’ex parlamentare Augusto Massa, pubblici amministratori e dirigenti di partito. Da loro parte la spinta propulsiva per rimettere in moto un’area politica che si sta dimostrando senza mordente. Una bocciatura in piena regola all’indirizzo dei dirigenti dei rispettivi partiti che sembrano aver smarrito la via e l’obiettivo più importante: mandare a casa Michele Iorio. Una scarsa azione propositiva che favorisce il gioco del governatore che sembra avere vita piuttosto facile, nonostante qualche distrazione... legata alla comparsa di Futuro e libertà per l’Italia. L’indice degli autoconvocati è puntato all’indirizzo di Partito democratico e Italia dei valori, le forze più rappresentative dello schieramento. Il perché è abbastanza facile: si stanno perdendo in giochi ed equilibri di potere che nulla hanno a che vedere con la base elettorale, con i cittadini con i quali si sarebbe perso il contatto. Quel rapporto determinante che ha portato il centrosinistra alla vittoria in diverse competizioni elettorali. L’incontro di questo pomeriggio al Centrum Palace sarà una salutare boccata d’ossigeno per spingere la coalizione a una maggiore concretezza e azione. Far cessare l’azione di governo di Michele Iorio è, allo stato dell’arte, un’impresa titanica. Dieci anni di governo che hanno profondamente segnato il tessuto sociale ed economico del Molise. Non è dato sapere semmai sarà possibile scalzare il governatore dalla sua poltrona dove appare letteralmente incollato. Certo una sinistra così distratta è proprio difficile, se non impossibile, che riesca a spostare Iorio persino di un centimetro.Una richiesta di rimettersi in moto dal basso, per tentare di arginare il fenomeno Iorio, che da dieci anni ha blindato la Regione Molise. Sicuramente l’iniziativa intrapresa da Astore, Massa e compagni merita maggiori fortune.Non fosse altro per dare un po’ di sapore alla politica molisana.Quella a cui stiamo assistendo è quanto mai insipida e non riesce a dare fermento al dibattito e alle possibilità di ricambio. Bisogna ammettere che l’attuale classe dirigente del centrosinistra ha fallito nel suo tentativo di portare un vento di rinnovamento. Non è stato affatto salutare e le prime avvisaglie si sono avute con l’avvento Ruta, che ora cerca di riproporsi con il contenitore Alternativ@. Azione politica dell’ex parlamentare campobassano che, come è stato ricordato dagli autoconvocati, non può essere un punto di partenza, ma uno spunto di riflessione, come tanti altri. Non viene riconosciuta ad Alternativ@ un progetto esaustivo per il centrosinistra è appare un furbo sistema per bypassare i partiti tradizionali, che invece devono tornare a dialogare “in nome dell’antiiorismo”. Riusciranno nella loro impresa i nostri eroi? Chissà. Intanto da fonti di via Genova si apprende che in questo momento il governatore appare quasi distratto, come se tutto ciò che sta accadendo gli importi poco o nulla. Altri pensieri lo rapiscono. Anche se si stanno avvicinando i termini per la presentazione delle liste, mancano, infatti, meno di due mesi. Nel frattempo il centrosinistra spera.

mercoledì 16 febbraio 2011

Si rispetta (forse) solo chi può votare

MANUELA PETESCIA

Sono stato costretto dalla curiosità a seguire su Telemolise il nuovo spot, partorito dalla irrefrenabile direttrice Manuela Petescia, sugli “amici a quattro zampe”. Campagna sociale con un forte impatto emotivo utilizzando poche parole, quattro per la precisione come spiega la stessa Manuela Petescia, per dire che: “I cani non votano”. Da qui la frase che nella valenza positiva fa consil’assunto che il rispetto sia riservato solo a chi vota. I cani non votano, ma gli animalisti sì. In casa da bambino ho avuto un gatto e per un periodo un cane. Non ho mai amato gli animali domestici, sopportandoli più per il piacere dei miei familiari. Quindi potrei quasi ad arrivare a dire che ne sono indifferente. Non a tal punto da capire quando l’amore degli altri sia così forte e pregnante da essere completo. La direttrice di Telemolise come tante altre persone ama gli animali, i cani e in particolare quelli abbandonati. Questa sana “follia” ha contagiato tutta la sua famiglia. E non solo. Vi ricordate la trasmissione per celebrare il primo anno di governo del presidente della Regione? Costrinse Michele Iorio a fare uno spot con in braccio un cucciolo. Una donna che non si ferma davanti a nulla, anche quando si tratta di richiamare al dovere gli amministratori pubblici del suo partito. A tal punto da aver coinvolto, sempre per i suo amici a “quattro zampe” anche il rettore dell’Università del Molise, Giovanni Cannata, e il procuratore della Repubblica di Larino, Nicola Magrone. ”I cani non votano”: è lo slogan per denunciare la drammatica situazione del canile municipale di Campobasso. “Sono quindici anni - afferma il direttore dell’emittente molisana - che Telemolise porta avanti una battaglia di civiltà: quella di spingere la città di Campobasso a dotarsi di un canile comunale, una struttura non dico all’avanguardia, ma almeno dignitosa, decente, degna di un capoluogo di regione. In tutti questi anni, al fianco degli animalisti, delle associazioni e dei tanti volontari - prosegue - abbiamo cercato di coinvolgere gli amministratori di tutte le bandiere politiche ed a tutti i livelli. Ed è una battaglia che la nostra tv, lo dico chiaramente a e con grande senso di rammarico, ha perso. L’ha persa insieme con l’Ente nazionale protezione animali (Enpa), la Lega molisana per la difesa del cane e tutte le persone che amano gli animali e sanno in quali condizioni si vive e si muore ogni giorno nella struttura di Santo Stefano”. Per Manuela Petescia Il motivo è molto semplice e lo si può esprimere con la frase diretta quanto semplice: i cani non votano. “Non serve - ha dichiarato all’Ansa il direttore di Telemolise - parlare del canile per dire da 15 anni sempre le stesse cose. Da oggi ci limiteremo a mandare in onda un nuovo spot di comunicazione sociale; un messaggio crudo e realistico, adeguato al cinismo di una certa visione politica. Mi sarebbe piaciuto aggiungere con un cinismo altrettanto adeguato: i cani non votano, gli animalisti si!”. Un grosso timbro rosso con la scritta “falso” per denunciare i ritardi: 1) il canile di Santo Stefano sarà ampliato e ristrutturato; 2) il progetto per la costruzione di un nuovo canile è pronto; 3) istituiremo il cane di quartiere; 4) il piano di sterilizzazione risolverà il problema del randagismo. Tutti falsi questi quattro punti per 15 anni di promesse non mantenute. Si può discutere se piace o non piace il messaggio, ma lo strumento utilizzato è tanto diretto quanto efficace. Un lavoro di post produzione di Telemolise per la indiscussa capacità tecnica di Angelo Pompei. Spot che non mancherà, come è già accaduto in altre occasioni, di avere un riflesso a livello nazionale con la messa in onda su Canale 5. Ancora una volta Manuela Petescia riesce a far varcare questa regione al di fuori dei confini territoriali per una campagna sociale che può essere condivisibile. Sperando che non si debba ricorrere allo stesso strumento per vedere risolti i problemi e le grandi incompiute del Molise. Sarebbe davvero troppo!

domenica 13 febbraio 2011

Il becero Di Clemente

Avrei voluto titolare questa  risposta a Tiziano Di Clemente “Il becero comunista”. Ma ho evitato di farlo per il rispetto che nutro per i comunisti, che incontro oggi nel Partito democratico e ieri in quello che era il Partito comunista italiano. Se avessi usato quell’aggettivo avrei offeso proprio quei comunisti e quella storia così importante per la democrazia dell’Italia. Avrei offeso la memoria di Enrico Berlinguer che, seppur da posizione diversa, ho sempre rispettato e di tanti altri che, pur non avendo mai parlato di foibe, non giravano la frittata parlando di nazifascismo come fa lei, per nascondere la verità ed evitare il confronto. Così come non ho mai accettato da nessuno dare del fascista all’altro per chiudere un discorso né le permetterò dell’insinuare sulle mie idee che sono tutt’altro che di destra.  Parafrasando Tonino Di Pietro dico al signor becero che “c’azzecca” ricordarmi delle lotte di liberazione? I morti sono sempre morti, a prescindere dalle posizioni politiche.  Del resto un comunista come Gianpaolo Pansa se ha scritto fiumi di inchiostro, per riabilitare la memoria di chi in nome delle lotte partigiane fu trucidato in nome della giustizia del popolo solo per vendetta, ci sarà pure una ragione. Di Clemente con i suoi discorsi paranoici non solo dimostra di essere un becero, ma anche un ottuso personaggio. E non ho nessuno problema a ribadirlo. Del resto le sue parole a difesa d’ufficio del comunismo d’antan - che continuo a dire sino a quando sono quelle che ho ricevuto non meritano di essere pubblicate su Il Nuovo Molise – le ritengo spropositate, ingiustificate e folli. Il Nuovo Molise lo scorso 27 gennaio ha dedicato ampio spazio alla Shoah e altrettanto abbiamo fatto per le foibe il 10 febbraio. Riconciliazione e memoria, senza cancellare l’orrore del fascismo. Signor Di Clemente mi dicono che faccia l’impiegato dell’Inps. Un colletto bianco, quindi seduto dietro a una comoda scrivania. Pensavo che facesse l’operaio, in una catena di montaggio. Sarebbe stato un lavoro più consono a un segretario regionale del partito dei comunisti. Forse per questo ha più tempo per scrivere, magari tra una chiacchierata e l’altra, con il computer. Le ricordo che mi chiamo Pino Cavuoti. Non sbagli il nome delle persone: più che educazione è una forma di attenzione. Lo ha fatto anche con D’Uva. A proposito c’è una strada intitolata a Giustino D’Uva così ricorderà meglio di chi stava parlando. Non ho strade a me intitolate, né mai le avrò. Ma per ricordarle come mi chiamo si faccia passare la copia da qualche collega d’ufficio così sulla prima pagina imparerà a scrivermi senza fare errori. Buona domenica e studi la storia. Quella vera e non quella che le hanno detto di imparare a memoria. A proposito semmai la dovessi incontrare si ricordi di portare il foglio che mi ha scritto voglio vedere se mi saprà ripetere le stesse parole a cantilena oppure avrà bisogno del suggeritore.

venerdì 11 febbraio 2011

I comunisti mangiano i bambini

 
Evito di fare citazioni. Ma giuro che mi batterò con tutte le forze a disposizione, fino a quando le mie forze me lo consentiranno, perché Tiziano Di Clemente possa continuare a fare il comunista. In Molise, come in ogni altra parte del mondo. Lo difenderò perché possa continuare e scrivere e professare il suo credo d’antan. Perché per fortuna ci sono seguaci come lui, ancora capaci di riaprire il cassetto della storia per pronunciare parole e ricordare solo ciò che più conviene, dimenticandone per fede altri. In pieno stile comunista, per non smentirsi mai tanto ma dovermi ricredere e dire che Silvio Berlusconi ha ragione: ci sono ancora i comunisti, bisogna vigilare! Al coordinatore regionale del Pcl è bastato leggere su questo giornale e su altri di foibe, Tito, comunismo, eccidio, per partire in quarta e scrivere la lettera del secolo scorso non pubblicabile nel 2011. Una foga così violenta da fargli confondere persino il nome di chi ha scritto “sulla vicenda delle foibe”. Per ripetere quella filastrocca mandata giù a memoria, in pieno stile Frattocchie, quando i giovani che abbracciavano il simbolo della falce e martello venivano mandati a studiare alla scuola di partito, come bravi scolaretti con il Capitale e il libro rosso del grande timoniere Mao Tse Tung. Erano altri tempi. Nessuno vuol dimenticare la storia, ma nessuno deve nasconderla e il compagno Di Clemente sulle foibe ha avuto la reazione di chi crede ancora che i russi portarono pace e democrazia. Se glielo chiedessimo Di Clemente ci racconterebbe che l’Arcipelago Gulag, del premio Nobel Aleksandr Solgenitsin, altro non è che propaganda capitalista. Forse esisterebbero ancora il muro di Berlino e la prima Repubblica. Craxi, Andreotti e Forlani, ma anche Carter e Breznev. A proposito i comunisti mangiano ancora i bambini! La migliore risposta a Tiziano Di Clemente l’ha data ieri l’ex comunista, oggi presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Sulle foibe per troppo tempo c’è stata una congiura del silenzio».

giovedì 10 febbraio 2011

Le foibe, storia nascosta e smemorata

Ho avuto un appassionato confronto con un amico che ha qualche anno meno di me. Quest’anno entrerà negli anta. Abbiamo parlato delle foibe che oggi ricorderemo in Italia. Non credeva alle mie parole quando gli facevo notare che alla mia maturità sul libro di storia non c’era traccia dell’eccidio dei titini. Una storia nascosta, un po’ come le notizie se non vengono pubblicate è come se non fossero mai accadute. E per noi studenti quel periodo dopo il 1945 era del tutto sconosciuto. Nel mio libro di storia non ve n’era traccia. E per dare dimostrazione di quanto va dicendo mi sono preso la briga di andare “a caccia” del terzo volume per gli Editori Laterza sul quale ho studiato nell’anno scolastico 1980-81. A scrivere la storia contemporanea un tale Rosario Villari, storico e politico italiano, docente di storia moderna a Roma, Messina e Firenze ed ex parlamentare del Partito comunista italiano. Come pretendere che quella parte politica potesse riconoscere e raccontare della morte per mano comunista di gente inerme? Ma una parte di responsabilità è anche da attribuire al versante governativo italiano. Nel dopoguerra, per una sorta di tacito accordo anche della parte democristiana, fu favorita quella che è da ritenersi una sorta di congiura del silenzio. Storia nascosta e smemorata per evitare ulteriori tensioni. Il dovere di ricordare ha poi avuto il sopravvento contro ogni logica così assurda da negare l’evidenza di uno sterminio in una stagione dove Dio guardava da un’altra parte. Il Nuovo Molise, così come ha fatto per la Shoah, ha voluto dedicare due pagine per far rivivere quel periodo. Un quotidiano locale non può occuparsi solo dei fatti del suo territorio, ma offrire spazi di riflessione. Senza pregiudizi, con giudizio.

lunedì 7 febbraio 2011

Maurizio Tiberio il transfuga, le ragioni di un'andata e ritorno nel centrodestra


Da qualche settimana si è fatto convincere dal cardiologo a perdere peso. Dieta ferrea e posto fisso al lo stesso tavolo del ristorante Af di Michele Robertucci. «E’ l’unico modo per farla sul serio. Mi devo voler bene, altrimenti potrei avere problemi in futuro». Scopriamo un Maurizio Tiberio in versione salutista. È sereno come da tempo non accadeva vederlo. Ha perso quell’aria da spavaldo, anche se era più un atteggiamento di facciata.
La prima domanda a Tiberio è quasi d’obbligo, non fosse altro per fare chiarezza nei confronti dei lettori. In questo momento da che parte sta Maurizio Tiberio?
«Sono nel Popolo della libertà. Una scelta fatta dopo alcuni mesi di riflessione. Una scelta fatta assieme ad alcuni amici. Una scelta che è un passo ulteriore in un percorso di vita politica che dura dal
1995».
Perché aveva lasciato il Pdl.
«In quel momento ci sono stati condizionamenti personali e di prospettiva perché non riuscivo più a vedere un certo percorso non solo personale ma anche politico che il Governatore stava facendo. Iorio stava facendo alcune scelte che non accettavo e non condividevo. Ma molto è dipeso da questioni personali che mi hanno condizionato e tutto questo in politico è un errore. Questioni personali che mi hanno portato a fare una scelta non tanto di schieramento. Da tempo vado dicendo che pur avendo votato da sempre Democrazia cristiana e dopo il 1994 centrodestra, oggi non vorrei votare più né il centrodestra né il centrosinistra, ma qualcosa di diverso. Privilegiare sempre e comunque. Proprio questo sogno di poter trovare insieme ad alcune persone, e in questo passaggio parlo di Nicola D’Ascanio, un progetto comune alternativo al sistema mi affascinava. Tant’ è che dal tentativo di sfiducia in Provincia del 7 agosto 2008 era nata la prima maggioranza, il primo esecutivo che era al di fuori dei partiti, con un appoggio esterno di alcuni pezzi del centrodestra. Quello che mi sembrava una nuova e interessante ipotesi di esperienza politica, ma che poi è fallito così miseramente».
Perché poi questo sogno si è infranto?
«Perché D’Ascanio si è rivelato non adatto a poter ricoprire quel ruolo, non adatto a poter essere un leader. Non adatto a poter essere vertice apicale di una istituzione».
Secondo Maurizio Tiberio è quindi finita l’era D’Ascanio.
«L’era D’Ascanio probabilmente non è mai cominciata e me ne prendo tutte le responsabilità per quelle che sono le mie colpe. Poteva nascere qualcosa di alternativo, qualcosa che poteva essere trasversale anche all’interno di quel contenitore riformista, ma credo che il carattere, la formazione politica, l’egocentrismo, abbiano giocato un ruolo determinante su quello che si è poi rivelato davvero il presidente D’Ascanio».
C’è stato un episodio in particolare che le ha fatto prendere la decisione di lasciare il centrosinistra per fare ritorno dalla parte opposta?
«Non ci sono degli episodi significativi. Ci sono state delle circostanze che uno può ricordare piuttosto che altre. È stato un percorso che ha iniziato a mostrare delle curve, delle salite e dei pezzi mancanti quando abbiamo iniziato a parlare del bilancio previsionale per il 2009. Già in quella circostanza iniziarono le prime scelte diverse che D’Ascanio non condivideva, però eri sempre in un progetto che avevi contibuito a salvare. Poi siamo arrivati anche al punto che D’Ascanio ha fatto tre rimpasti di giunta e ogni volta rifaceva sempre le stesse cose per salvare solo se stesso e il progetto politico se n’è sempre andato a quel paese. Altrimenti non si riesce a spiegare come abbia fatto D’Ascanio a cambiare in meno di cinque anni tre giunte diverse che hanno solo un comune denominatore: la sua salvezza e la sua poltrona. Oramai sono più di sei mesi che non fa convocare un Consiglio provinciale perché non ha più né materialmente né praticamente quei numeri. Tranne se poi l’Italia dei valori non cambi idea».
Perché D’Ascanio girererebbe alla larga del Consiglio provinciale.
«D’Ascanio non ha i numeri, ecco perché non viene in Consiglio. Stiamo andando in dodicesimi, stiamo andando in esercizio provvisorio, non si vede la via del bilancio previsionale del 2011. Tutti i provvedimenti ora sono di Giunta non più di Consiglio. Lui ha sempre parlato di un’ampia condivisione democratica del Consiglio per il territorio, cosa che non c’è stata. Ma poi nei fatti di rendi conto che tutti i provvedimenti sono adottati con i poteri della giunta».
Annamaria Macchiarola che era la testata d’angolo per il presidente D’Ascanio ha fatto marcia indietro diventando più conciliante e disponibile al dialogo?
«È diventata il suo vice presidente. Già questa è una risposta che non merita commenti. In politica può accadere di tutto. La politica è l’arte del possibile. Vedere chi è stato l’artefice, il mandante e l’esecutore della morte politica di un progetto, ovvero Annamaria Macchiarola come prima firmataria della mozione di sfiducia nel suo ruolo di segretario del Partito democratico, cioè il segretario politico di D’Ascanio, oggi in quel ruolo istituzionale cozza tantissimo ed è facile immaginare che tutto si ricomponga, addirittura che la Macchiarola entrasse in giunta, ma mai vice presidente».
Tutto questo cosa significa.
«Significa che D’Ascanio ha dovuto sopportare lo schiaffone per dover assegnare alla Macchiarola la carica di vice presidente, come prezzo della sua sopravvivenza futura. Fortemente in discussione perché non credo che D’Ascanio non sarà il candidato del centrosinistra, ma sarà candidato perché questo fa parte del suo Dna. Anche con una lista civica per non uscire definitivamente fuori dal teatro della politica regionale».
E’ stato più difficile andar via dal centrodestra o ritornarvi.
«Questa è una bella domanda. Una bella domanda... pensandoci bene pesano alla stessa maniera perché quando ho deciso di andar via dal centrodestra e abbandonare Forza Italia all’epoca è stata una decisione sofferta. A pensarci bene in entrambe le decisioni c’è un aspetto comune: la vicinanza di due persone che hanno fatto poi questo percorso, per me a ritroso e per loro nuovo, nel Pdl. Mi riferisco a Vincenzo Mucci e Giovanni Varra. Loro erano vicini a me in quei mesi mentre ragionavo sulle motivazioni che mi portavano via da Forza Italia e su quelle che mi avvicinavano a D’Ascanio. Devo dire la verità. Sono rimasto colpito da Nicola D’Ascanio quando mi parlava del piano straordinario della messa in sicurezza delle scuole, della grande operazione culturale con il teatro Savoia. Ero molto affascinato da lui, quelle sirene sono state anche causa della mia decisione di lasciare il centrodestra e Forza Italia perché credevo che quelle sirene nascondessero qualcosa di concreto. Ma poi alla fine così non è stato, com è stato un fallimento il piano straordinario per le scuole e la fondazione del teatro Savoia. Solo per dirne due».
Si dice che chi tradisce una volta, poi tradisca sempre. Come vive questa affermazione. 
«Non sento di aver mai tradito. Tradire significa avere un rapporto solido e stabile con una persona e poi andarsene con un’altra perché ti offre di più o di diverso. Ho lasciato il sole perché credo di essere stato per anni all’interno di Forza Italia e vicino al Governatore avendo anche delle posizioni di rendita, ma non gestionali o di potere in quanto all’interno di qualche sistema di controllo, ma solo perché vicino a Iorio. Li ho lasciati per sposare un progetto dove non sono andato a fare né l’assessore alla Provincia, né ho avuto incarichi da Nicola D’Ascanio. Ricordo che all’indomani della sfiducia del 7 di agosto ero già stato indicato e quindi eletto come presidente del Consiglio provinciale. Non l’ho fatto facendo un passo indietro in quanto ritenevo più importante un progetto comune. Ora ritorno da dove sono partito senza che abbia chiesto di fare l’assessore al Comune di Campobasso né di fare il presidente di una qualsiasi commissione. Né mi ricandido alla Provincia perché ho già detto diverse volte che in politica biosgna fare anche mea culpa e cercare di trovare delle soluzioni diverse per il proprio ruolo. Non occorre per forza essere in posizioni istituzionali o di controllo. puoi far parte di un progetto anche in condizione di servizio. Ed è proprio per questo che rivendico il diritto a non essere considerato un traditore. Ho fatto un’esperienza, di essermi reso conto di quale sia oggi lo scenario politico. Sono tornato a casa senza aver mai venduto nulla e senza che nessuno mai mi abbia acquistato».
Quindi Tiberio si prepara a un salutare periodo di deserto.
«No, sono contento di essere consigliere comunale. Rimango a collaborare con Gino Di Bartolomeo, che sta mettendo in campo un modo diverso di amministrare. Non dico che sia migliore o peggiore rispetto ad altri che lo hanno preceduto. Dico solo che è diverso. E fra tre anni e mezzo saranno gli elettori a decidere se quel diverso deve essere confermato o lasciarlo perdere. Sono contento di collaborare con quella maggioranza fatta di persone con un’età media molto bassa. Questo significa che ci sono leve e un modo più fresco di pensare alla politica. Sono lì senza aver chiesto mai nulla».
A chi non ha mai fatto politica cosa direbbe alla luce della sua travagliata esperienza.
«Racconto un episodio che mi è accaduto di recente. Ho assistito a una discussione tra due assessori: uno giovane e l’altro navigato. Quello più giovane si è messo a piangere perché talmente preso dal rimprovero si è sentito a disagio e impreparato pur nella consapevolezza di dare il massimo. La politica non è un mestiere e bisogna farlo con passione perché è una cosa bellissima. Non è una scorciatoia per realizzarsi».
Si può perdere la famiglia per la politica.
«Sì».
Tiberio lei ha perso la famiglia per la politica.
«Sono separato, la politica è stato uno dei motivi per cui mi sono separato da mia moglie. Ma devo dire che anche attraverso la politica oggi ho un rapporto splendido con mia moglie. Abbiamo tutti e due un rapporto bellissimo ed eccezionale con i nostri figli. Lo persa sotto il punto di vista giuridico, dallo status di famiglia, ma rimango il padre dei nostri figli, Monica rimane la madre dei nostri figli e i nostri figli sono il nostro progetto che nessuno ci può togliere perché è un progetto che dura tutta la vita, un progetto comune della nostra vita».

La buona politica? Di questi tempi merce rara

Ha ragione a cambiare discorso il mio amico Cesare. Fa il fruttivendolo ed ha studiato poco, ma ha capito, per parlare di altro che non sia il pallone, la necessità di riservarsi del tempo da dedicare alla lettura dei quotidiani oltre a seguire con attenzione gli spazi informativi proposti dalle televisioni. Cesare è molisano, ascolta musica napoletana e sa fare di conto. È riuscito con caparbietà a costruirsi un futuro vendendo mele e pere per sé e per la sua famiglia. Capisce di economia quel tanto che gli è servito a fare utili con il suo negozio. Ieri mattina, mentre mi consigliava di acquistare delle arance tarocco piuttosto che i mandaranci, mi ha detto una frase che vale più di un trattato di filosofia. «Pì, di questi tempi la politica è merce rara, vedi un po’ come questi agrumi. Sono tutti belli a vedersi, ma poi quando li apri. Peggio dei cocomeri d’estate». Il riferimento, manco a dirlo, all’intervista a Il Nuovo Molise del senatore Di Giacomo e al dito puntato su certi comportamenti. Uno spunto ghiotto se si pensa a come la politica sia diventata oggi: uno spazio più che del confronto quello del trasformismo. Non si tratta di usare frasi trite e ritrite, ma di constatare ciò che è sotto gli occhi di tutti. Mancanza di chiarezza con l’unica preoccupazione di curare il proprio orto garantendosi altra rendite per il domani. Sono pochi o rari - ho frequentato e continuo a frequentare quegli ambienti - i politici che credono in quello che fanno. Per una buona parte la politica è diventato un lavoro ben retribuito. Avete mai visto uno di loro che dopo essersi abituato a migliaia di euro di stipendio e indennità preferisca tornare a fare il professore o piuttosto l’impiegato? I buoni politici sono una merce rara da trovare. Tra qualche mese inizierà la caccia: è tempo di elezioni.