venerdì 11 febbraio 2011

I comunisti mangiano i bambini

 
Evito di fare citazioni. Ma giuro che mi batterò con tutte le forze a disposizione, fino a quando le mie forze me lo consentiranno, perché Tiziano Di Clemente possa continuare a fare il comunista. In Molise, come in ogni altra parte del mondo. Lo difenderò perché possa continuare e scrivere e professare il suo credo d’antan. Perché per fortuna ci sono seguaci come lui, ancora capaci di riaprire il cassetto della storia per pronunciare parole e ricordare solo ciò che più conviene, dimenticandone per fede altri. In pieno stile comunista, per non smentirsi mai tanto ma dovermi ricredere e dire che Silvio Berlusconi ha ragione: ci sono ancora i comunisti, bisogna vigilare! Al coordinatore regionale del Pcl è bastato leggere su questo giornale e su altri di foibe, Tito, comunismo, eccidio, per partire in quarta e scrivere la lettera del secolo scorso non pubblicabile nel 2011. Una foga così violenta da fargli confondere persino il nome di chi ha scritto “sulla vicenda delle foibe”. Per ripetere quella filastrocca mandata giù a memoria, in pieno stile Frattocchie, quando i giovani che abbracciavano il simbolo della falce e martello venivano mandati a studiare alla scuola di partito, come bravi scolaretti con il Capitale e il libro rosso del grande timoniere Mao Tse Tung. Erano altri tempi. Nessuno vuol dimenticare la storia, ma nessuno deve nasconderla e il compagno Di Clemente sulle foibe ha avuto la reazione di chi crede ancora che i russi portarono pace e democrazia. Se glielo chiedessimo Di Clemente ci racconterebbe che l’Arcipelago Gulag, del premio Nobel Aleksandr Solgenitsin, altro non è che propaganda capitalista. Forse esisterebbero ancora il muro di Berlino e la prima Repubblica. Craxi, Andreotti e Forlani, ma anche Carter e Breznev. A proposito i comunisti mangiano ancora i bambini! La migliore risposta a Tiziano Di Clemente l’ha data ieri l’ex comunista, oggi presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Sulle foibe per troppo tempo c’è stata una congiura del silenzio».

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