lunedì 7 febbraio 2011

Maurizio Tiberio il transfuga, le ragioni di un'andata e ritorno nel centrodestra


Da qualche settimana si è fatto convincere dal cardiologo a perdere peso. Dieta ferrea e posto fisso al lo stesso tavolo del ristorante Af di Michele Robertucci. «E’ l’unico modo per farla sul serio. Mi devo voler bene, altrimenti potrei avere problemi in futuro». Scopriamo un Maurizio Tiberio in versione salutista. È sereno come da tempo non accadeva vederlo. Ha perso quell’aria da spavaldo, anche se era più un atteggiamento di facciata.
La prima domanda a Tiberio è quasi d’obbligo, non fosse altro per fare chiarezza nei confronti dei lettori. In questo momento da che parte sta Maurizio Tiberio?
«Sono nel Popolo della libertà. Una scelta fatta dopo alcuni mesi di riflessione. Una scelta fatta assieme ad alcuni amici. Una scelta che è un passo ulteriore in un percorso di vita politica che dura dal
1995».
Perché aveva lasciato il Pdl.
«In quel momento ci sono stati condizionamenti personali e di prospettiva perché non riuscivo più a vedere un certo percorso non solo personale ma anche politico che il Governatore stava facendo. Iorio stava facendo alcune scelte che non accettavo e non condividevo. Ma molto è dipeso da questioni personali che mi hanno condizionato e tutto questo in politico è un errore. Questioni personali che mi hanno portato a fare una scelta non tanto di schieramento. Da tempo vado dicendo che pur avendo votato da sempre Democrazia cristiana e dopo il 1994 centrodestra, oggi non vorrei votare più né il centrodestra né il centrosinistra, ma qualcosa di diverso. Privilegiare sempre e comunque. Proprio questo sogno di poter trovare insieme ad alcune persone, e in questo passaggio parlo di Nicola D’Ascanio, un progetto comune alternativo al sistema mi affascinava. Tant’ è che dal tentativo di sfiducia in Provincia del 7 agosto 2008 era nata la prima maggioranza, il primo esecutivo che era al di fuori dei partiti, con un appoggio esterno di alcuni pezzi del centrodestra. Quello che mi sembrava una nuova e interessante ipotesi di esperienza politica, ma che poi è fallito così miseramente».
Perché poi questo sogno si è infranto?
«Perché D’Ascanio si è rivelato non adatto a poter ricoprire quel ruolo, non adatto a poter essere un leader. Non adatto a poter essere vertice apicale di una istituzione».
Secondo Maurizio Tiberio è quindi finita l’era D’Ascanio.
«L’era D’Ascanio probabilmente non è mai cominciata e me ne prendo tutte le responsabilità per quelle che sono le mie colpe. Poteva nascere qualcosa di alternativo, qualcosa che poteva essere trasversale anche all’interno di quel contenitore riformista, ma credo che il carattere, la formazione politica, l’egocentrismo, abbiano giocato un ruolo determinante su quello che si è poi rivelato davvero il presidente D’Ascanio».
C’è stato un episodio in particolare che le ha fatto prendere la decisione di lasciare il centrosinistra per fare ritorno dalla parte opposta?
«Non ci sono degli episodi significativi. Ci sono state delle circostanze che uno può ricordare piuttosto che altre. È stato un percorso che ha iniziato a mostrare delle curve, delle salite e dei pezzi mancanti quando abbiamo iniziato a parlare del bilancio previsionale per il 2009. Già in quella circostanza iniziarono le prime scelte diverse che D’Ascanio non condivideva, però eri sempre in un progetto che avevi contibuito a salvare. Poi siamo arrivati anche al punto che D’Ascanio ha fatto tre rimpasti di giunta e ogni volta rifaceva sempre le stesse cose per salvare solo se stesso e il progetto politico se n’è sempre andato a quel paese. Altrimenti non si riesce a spiegare come abbia fatto D’Ascanio a cambiare in meno di cinque anni tre giunte diverse che hanno solo un comune denominatore: la sua salvezza e la sua poltrona. Oramai sono più di sei mesi che non fa convocare un Consiglio provinciale perché non ha più né materialmente né praticamente quei numeri. Tranne se poi l’Italia dei valori non cambi idea».
Perché D’Ascanio girererebbe alla larga del Consiglio provinciale.
«D’Ascanio non ha i numeri, ecco perché non viene in Consiglio. Stiamo andando in dodicesimi, stiamo andando in esercizio provvisorio, non si vede la via del bilancio previsionale del 2011. Tutti i provvedimenti ora sono di Giunta non più di Consiglio. Lui ha sempre parlato di un’ampia condivisione democratica del Consiglio per il territorio, cosa che non c’è stata. Ma poi nei fatti di rendi conto che tutti i provvedimenti sono adottati con i poteri della giunta».
Annamaria Macchiarola che era la testata d’angolo per il presidente D’Ascanio ha fatto marcia indietro diventando più conciliante e disponibile al dialogo?
«È diventata il suo vice presidente. Già questa è una risposta che non merita commenti. In politica può accadere di tutto. La politica è l’arte del possibile. Vedere chi è stato l’artefice, il mandante e l’esecutore della morte politica di un progetto, ovvero Annamaria Macchiarola come prima firmataria della mozione di sfiducia nel suo ruolo di segretario del Partito democratico, cioè il segretario politico di D’Ascanio, oggi in quel ruolo istituzionale cozza tantissimo ed è facile immaginare che tutto si ricomponga, addirittura che la Macchiarola entrasse in giunta, ma mai vice presidente».
Tutto questo cosa significa.
«Significa che D’Ascanio ha dovuto sopportare lo schiaffone per dover assegnare alla Macchiarola la carica di vice presidente, come prezzo della sua sopravvivenza futura. Fortemente in discussione perché non credo che D’Ascanio non sarà il candidato del centrosinistra, ma sarà candidato perché questo fa parte del suo Dna. Anche con una lista civica per non uscire definitivamente fuori dal teatro della politica regionale».
E’ stato più difficile andar via dal centrodestra o ritornarvi.
«Questa è una bella domanda. Una bella domanda... pensandoci bene pesano alla stessa maniera perché quando ho deciso di andar via dal centrodestra e abbandonare Forza Italia all’epoca è stata una decisione sofferta. A pensarci bene in entrambe le decisioni c’è un aspetto comune: la vicinanza di due persone che hanno fatto poi questo percorso, per me a ritroso e per loro nuovo, nel Pdl. Mi riferisco a Vincenzo Mucci e Giovanni Varra. Loro erano vicini a me in quei mesi mentre ragionavo sulle motivazioni che mi portavano via da Forza Italia e su quelle che mi avvicinavano a D’Ascanio. Devo dire la verità. Sono rimasto colpito da Nicola D’Ascanio quando mi parlava del piano straordinario della messa in sicurezza delle scuole, della grande operazione culturale con il teatro Savoia. Ero molto affascinato da lui, quelle sirene sono state anche causa della mia decisione di lasciare il centrodestra e Forza Italia perché credevo che quelle sirene nascondessero qualcosa di concreto. Ma poi alla fine così non è stato, com è stato un fallimento il piano straordinario per le scuole e la fondazione del teatro Savoia. Solo per dirne due».
Si dice che chi tradisce una volta, poi tradisca sempre. Come vive questa affermazione. 
«Non sento di aver mai tradito. Tradire significa avere un rapporto solido e stabile con una persona e poi andarsene con un’altra perché ti offre di più o di diverso. Ho lasciato il sole perché credo di essere stato per anni all’interno di Forza Italia e vicino al Governatore avendo anche delle posizioni di rendita, ma non gestionali o di potere in quanto all’interno di qualche sistema di controllo, ma solo perché vicino a Iorio. Li ho lasciati per sposare un progetto dove non sono andato a fare né l’assessore alla Provincia, né ho avuto incarichi da Nicola D’Ascanio. Ricordo che all’indomani della sfiducia del 7 di agosto ero già stato indicato e quindi eletto come presidente del Consiglio provinciale. Non l’ho fatto facendo un passo indietro in quanto ritenevo più importante un progetto comune. Ora ritorno da dove sono partito senza che abbia chiesto di fare l’assessore al Comune di Campobasso né di fare il presidente di una qualsiasi commissione. Né mi ricandido alla Provincia perché ho già detto diverse volte che in politica biosgna fare anche mea culpa e cercare di trovare delle soluzioni diverse per il proprio ruolo. Non occorre per forza essere in posizioni istituzionali o di controllo. puoi far parte di un progetto anche in condizione di servizio. Ed è proprio per questo che rivendico il diritto a non essere considerato un traditore. Ho fatto un’esperienza, di essermi reso conto di quale sia oggi lo scenario politico. Sono tornato a casa senza aver mai venduto nulla e senza che nessuno mai mi abbia acquistato».
Quindi Tiberio si prepara a un salutare periodo di deserto.
«No, sono contento di essere consigliere comunale. Rimango a collaborare con Gino Di Bartolomeo, che sta mettendo in campo un modo diverso di amministrare. Non dico che sia migliore o peggiore rispetto ad altri che lo hanno preceduto. Dico solo che è diverso. E fra tre anni e mezzo saranno gli elettori a decidere se quel diverso deve essere confermato o lasciarlo perdere. Sono contento di collaborare con quella maggioranza fatta di persone con un’età media molto bassa. Questo significa che ci sono leve e un modo più fresco di pensare alla politica. Sono lì senza aver chiesto mai nulla».
A chi non ha mai fatto politica cosa direbbe alla luce della sua travagliata esperienza.
«Racconto un episodio che mi è accaduto di recente. Ho assistito a una discussione tra due assessori: uno giovane e l’altro navigato. Quello più giovane si è messo a piangere perché talmente preso dal rimprovero si è sentito a disagio e impreparato pur nella consapevolezza di dare il massimo. La politica non è un mestiere e bisogna farlo con passione perché è una cosa bellissima. Non è una scorciatoia per realizzarsi».
Si può perdere la famiglia per la politica.
«Sì».
Tiberio lei ha perso la famiglia per la politica.
«Sono separato, la politica è stato uno dei motivi per cui mi sono separato da mia moglie. Ma devo dire che anche attraverso la politica oggi ho un rapporto splendido con mia moglie. Abbiamo tutti e due un rapporto bellissimo ed eccezionale con i nostri figli. Lo persa sotto il punto di vista giuridico, dallo status di famiglia, ma rimango il padre dei nostri figli, Monica rimane la madre dei nostri figli e i nostri figli sono il nostro progetto che nessuno ci può togliere perché è un progetto che dura tutta la vita, un progetto comune della nostra vita».

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