venerdì 9 settembre 2011

Solo Iorio può perdere le elezioni

Michele Angelo Iorio, classe 1948 da Isernia, professione politico, presidente di una regione piccola. Un buon padre di famiglia, se è riuscito a generare tra alcuni dei suoi tre figli la passione per la medicina e l’arte del possibile, come qualcuno ama definire la politica. In questi dieci e più anni di responsabilità di governo è riuscito a restare saldamente in sella. Iorio è stato capace di avere sempre i numeri dalla sua parte per non andare sotto in aula, anzi ricomponendo quelli necessari quando qualcuno lo abbandonava per strada, con una campagna acquisti nel campo avverso. Come non si può non applaudirlo per questo? Con la capacità di gestire l’azione amministrativa senza un coinvolgimento diretto e incalzante dei partiti, che loro malgrado, sono stati messi in secondo piano. Come tutti i matrimoni il suo gradimento tra gli elettori è stato altalenante, del resto anche Barack Obama conosce la stessa sorte con il passare del tempo. Michele Angelo Iorio ha vinto due elezioni, sventolate con orgoglio soprattutto quando in Italia quelle di colore azzurro erano in numero minore rispetto a quelle rosse. Il governatore uscente, sulla carta, avrebbe tutte le possibilità per tentare un magico tris. Ma come accade, nello sport come nella vita, quando tutto è certo si può correre il pericolo di prendere la cosiddetta tranvata. Perché questa volta solo Iorio potrà perdere le elezioni se non troverà la forza di rimettersi in moto e ridare smalto alla sua capacità di saper fare comunicazione e il contatto con la gente. Diversamente, dando per scontato che il centrosinistra si presenterà un po’ più unito e solido rispetto al passato, l’impressione del pugile suonato non sarà solo un’impressione prima di salire sul ring, ma un’amara certezza. Considerando che i numeri dicono che ha gestito una gran mole di denaro. Un richiamo a cui gli amministratori locali non sembrano mostrare scarso interesse, anzi tutto il contrario. Così fu pure nel 2006 e sappiamo come è andata a finire.

Pino Cavuoti

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