sabato 1 settembre 2012

Dopo due anni proviamo a resistere

Esattamente due anni fa, il primo settembre del 2010, faceva la sua comparsa Il nuovo Molise.  Poi ha cambiato nome, con quello presente oggi sulla testata del giornale che in questo momento avete tra le vostre mani. Sono stati 616 numeri sudati, ogni giorno, per essere presenti in edicola. Senza il piglio dei primi della classe, ma con la consapevolezza di volerci essere, a tutti i costi. Carne o pesce? Sono i nostri lettori più fedeli a doverlo dire. Che ne hanno dovuto passare, come noi, delle belle, tra mille difficoltà che qualche volta ci hanno appesantito e il più delle volete cercato di far affogare. Con qualche debito in più e con più di qualcuno che ci prega la vita (i nostri creditori) ora siamo a spegnere la seconda candelina. Virtuale perché non c’è proprio nulla da festeggiare, ma poi in fondo al cassetto sono certo che questo pomeriggio ne troverò una già usata, che potrebbe fare al nostro caso.  Con caparbietà il nostro amministratore, tal Giuseppe Santone da Campobasso - a proposito mi sembra più un nome da sacro tempio da venerare piuttosto che litigarci - ha studiato un piano operativo che con la riduzione della foliazione - a proposito da domani ritorneremo a 24 pagine così come eravamo partiti due anni fa - ci dovrebbe consentire, con minori costi di stampa e confezionamento, di chiudere i conti con meno affanno. I contenuti saranno gli stessi, con la stessa cura nella trattazione degli argomenti per quanto abbiamo saputo fare nei numeri che sono già materia per gli storici... Con consapevole follia mi impegno a portare avanti al largo questa barca, che non va a motore con la sola forza del vento. Qualche naso raffinato starà già pensando ad alta voce: eccoli pronti a cercare padrone! Problemi suoi. Il vento che ci spinge a uscire dal porto è quello della libertà di pensare anche che oggi sarà una bella giornata, perché il sole sorgerà anche per noi. E non facendomi mancare persino una frase, nella quale credo con profondo rispetto, dico: andiamo avanti, a Dio piacendo. Con la dignità di non avere di che vivere. Del resto gli uccelli hanno forse bisogno di vestirsi per stare all’aria aperta?  Grazie ai colleghi di ieri e di oggi  che hanno condiviso questo viaggio.
Pino Cavuoti

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